Ing. Mario Gallo

Consulenza Brevetti - Studio Brevetti e Marchi

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Brevetto, brevettese e un po’ di filosofia

Riflettendo sul linguaggio, obiettivamente un po’ speciale e non a caso chiamato “brevettese”, nel quale, ahimè, tutti noi che lavoriamo nel campo della proprietà industriale siamo tenuti ad esprimerci ogni volta che dobbiamo descrivere e rivendicare un’invenzione da brevettare, mi sono spesso domandato se questa particolare e pressoché unica forma di linguaggio, con le sue proprie e innegabili regole e strutture, potesse in qualche modo essere messa in relazione con altre esperienze e costruzioni elaborate dal pensiero umano nel corso della sua lunga e travagliata storia. Certamente, almeno a prima vista, il linguaggio che è di norma usato per scrivere i brevetti non appare, per la sua unicità e specificità, facilmente accostabile e rapportabile con quello di altri campi.

Mi sembra però che, ad un più attento esame e magari con un quid di immaginazione, vi siano alcune buone ragioni per stabilire un collegamento, perlomeno in astratto, fra il linguaggio dei brevetti ed il linguaggio della scienza, quale fu analizzato e teorizzato, nella prima metà del secolo scorso, dalla corrente filosofica del neo-positivismo logico, o circolo di Vienna.

Come noto, questa corrente di pensiero fondò la sua analisi del linguaggio scientifico sul concetto guida che solo le proposizioni verificabili, vale a dire descriventi fatti del mondo reale, erano da considerare dotate di un significato vero, mentre al contrario le proposizioni logiche, anche chiamate dai neo-positivisti tautologie, essendo inverificabili, erano da considerare vuote di contenuto e prive di significato. In particolare il neo-positivismo logico condusse su questa base una approfondita e complessa analisi semantico-sintattica del linguaggio della scienza, allo scopo di ricostruirlo criticamente, depurandolo di ogni oscurità e contaminazione metafisica e rimuovendo da esso i non-sensi che lo affliggevano e ne oscuravano pertanto il significato.

Così, in questo contesto, il linguaggio dei brevetti ha sviluppato e selezionato al suo interno, attraverso una ormai lunga e articolata storia di affinamento e chiarificazione condizionata dalla necessità di comprendere e adeguarsi alla realtà continuamente mutevole delle nuove invenzioni, alcuni aspetti e caratteristiche interessanti che lo accomunano in modo significativo al linguaggio, ancorché teorico, annunciato dal neo-positivismo logico, e che forse può essere utile qui sottolineare.

Ora una prima importante fra queste caratteristiche consiste nel fatto che il linguaggio brevettuale, quando viene utilizzato per descrivere le parti e/o le relazioni fra le parti che definiscono una determinata combinazione tecnica, risulta “funzionare” ed applicarsi tanto meglio, quanto più esso è “fedele”, nelle parole e nella sua struttura grammaticale e/o sintattica, alla logica e all’ordine fisico e materiale con cui queste parti e le loro reciproche relazioni si pongono nella realtà oggettiva dei fatti. In altre parole, sembra quasi che all’interno del linguaggio brevettuale si celi una specie di intima corrispondenza con la struttura materiale del mondo dei fatti costituenti una data combinazione tecnica, la quale corrispondenza ha, come effetto, se riconosciuta e fatta emergere, e quindi in qualche misura assecondata e rispettata, di determinare una migliore e più completa sovrapposizione del linguaggio brevettuale a una tale combinazione, proprio nel momento in cui la descrive.

Pertanto, coerentemente con questo aspetto del linguaggio dei brevetti, diventa utile ed importante, quando si descrive una qualsiasi combinazione, introdurne le diverse parti e loro reciproche relazioni seguendo e rispettando fedelmente lo stesso ordine materiale e funzionale con cui queste parti e relazioni si presentano nella realtà fisica. Ad esempio, con riferimento ad una struttura composta da più parti disposte l'una sopra l'altra, la descrizione di essa probabilmente risulterà molto più chiara se si seguirà la regola di introdurre per prima la parte di base che fa da supporto a tutte le altre, e di introdurre successivamente le ulteriori parti aggiuntive e le relative relazioni funzionali, seguendo la stessa logica e lo stesso ordine con cui queste parti si sovrappongono l'una sull'altra nella realtà fisica a partire da quella di base. Analogamente, dovendo descrivere una data combinazione comprendente una pluralità di parti legate da una relazione di reciproco contenimento, sarà bene partire dalla parte o dalle parti esterne ed introdurre solo successivamente quelle interne, rispettando l’ordine fisico con cui esse cooperano l’una con l’altra. Lo stesso dicasi per una catena cinematica o di trasmissione o di comando che ha origine con un organo motore e termina con un organo condotto.

La relativa descrizione preferibilmente dovrà iniziare citando per primo l'organo motore, per passare quindi ad introdurre i vari organi intermedi che compongono la catena cinematica, elencandoli nell’ordine con cui sono collegati o comandati a partire dall'organo motore, ed introdurre infine, da ultimo, l'organo condotto che costituisce la parte terminale della catena. Ancora un ragionamento simile può valere per un circuito avente una sezione di ingresso, e una sezione di uscita, in cui fra la sezione di uscita e quella di ingresso è prevista una linea di retroazione. Infatti anche in questo caso, per descrivere in modo ottimale il circuito, è consigliabile rispettarne la struttura fisica ed operativa, e quindi partire dalla sezione di ingresso, introducendo man mano i vari componenti che si incontrano in successione, fino ad arrivare agli elementi della sezione di uscita, introducendo, solo alla fine, la relazione circuitale che definisce la retroazione.

In questo modo la struttura e le relazioni fra le varie parti del circuito probabilmente risulteranno molto più chiare. In sintesi, tutte queste considerazioni derivate dalla pratica del brevetti appaiono fornire una ulteriore conferma, se mai ce ne fosse ancora bisogno, di come il linguaggio sia uno strumento, sebbene imperfetto, che in qualche modo riflette e integra nella sua configurazione semantica e sintattica la struttura percepita del mondo reale delle cose (genere maschile, femminile, verbi, nomi, predicato, ecc. ), cosicché quanto più questo strumento è usato in modo consono, aderente e vicino alla "natura" e al mondo reale e materiale da cui esso deriva, tanto migliori saranno i risultati, in termini di chiarezza e comprensione, nel descrivere e coprire una determinata realtà, in particolare tecnica.

Ancora una considerazione sulla cosiddetta forma linguistica del “disclaimer”, che in pratica corrisponde alla descrizione o all’indicazione di un non-fatto ovvero di un qualcosa che non c’è, già censurata dal neo-positivismo logico come estranea al linguaggio ideale della scienza, all’opposto tutto rivolto a descrivere e significare fatti reali. Infatti anche all’interno del linguaggio brevettuale il “disclaimer” ha una collocazione molto critica, ed è comunque in generale apertamente sconsigliato, così come è sempre stata una costante caratteristica del linguaggio dei brevetti la ricerca di soluzioni ed espressioni linguistiche dirette ad evitare il “disclaimer”, o almeno a ridurne il più possibile l’uso, e solo in un numero limitato di casi molto speciali.

Mi sia ancora consentita un’ultima riflessione, sempre in tema di possibili e/o immaginarie corrispondenze fra il linguaggio usato nei brevetti e la filosofia. Sembra che anche nel campo del linguaggio brevettuale si sia affermata, tramite l’uso e sotto i condizionamenti prima ricordati, un qualcosa di simile alla famosa regola del rasoio di Occam, già bandiera del neo-positivismo logico, diretta a censurare senza pietà i concetti e i corrispondenti termini linguistici ridondanti, inutili e privi di supporto, per l’appunto quei termini e quelle caratteristiche “non essenziali” nella definizione linguistica di una combinazione brevettabile. A questo punto che cosa si può ancora dire e prevedere ?

Che anche nel settore dei brevetti non si arrivi prima o poi, nel futuro, attraverso questo inarrestabile e continuo affinamento dello strumento linguistico, alla stessa mistica conclusione di Wittgenstein, annunciata con la celeberrima proposizione 7 del suo Tractatus Logico-philosophicus : “Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”, che, trasferita nel contesto del linguaggio brevettuale, potrebbe anche suggerire una specie di totale eliminazione di ogni tipo di “disclaimer”.

Ma forse una simile prospettiva, dove finalmente la ragione avrebbe la possibilità di esprimersi per mezzo di un sapiente e filosofico silenzio, sarebbe da auspicare anche in molte altre attività dell’uomo, e non solo in quella dei brevetti.

   Mario Gallo

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